L'impatto con Varanasi è stato deludente : il solito traffico indiano, i negozi e fast food, chiuso nel taxi Tata ad aria condizionata mi chiedevo dove diavolo fossi finito, dove fosse finita l'India che stavo cercando. A pochi passi dallo scalcinato albergo che avevo trovato a buon prezzo, crocevia di viaggiatori senza acqua calda e spesso senza acqua del tutto, ho capito che stavo solo guardando dalla parte sbagliata, il Gange era ai miei piedi.
Mi è venuto da ridere mentre pensavo che finalmente ero arrivato alla mia meta; dopo sudici treni sovraffollati, ladri, topi, truffatori, caldo diarrea, templi, fiori marci, palazzi dei Maraja, l'ospedale, delirio, elefanti, dopo tutto questo sono davvero arrivato.
Il Gange è enorme, silenzioso, mi avvicino piano.
Alla mia destra una cagna ha partorito da poco una cucciolata, i cuccioli sono piccoli e forse ancora ciechi, uno è morto, poi un'altra cucciolata e un'altra ancora di pochi giorni; noi stupidi occidentali dal cuore tenero facciamo foto, commenti, sguardi languidi per i cani neonati alla nostra destra, ma non ci accorgiamo quasi dei bambini cenciosi, dei mendicanti e dei lebbrosi alla nostra sinistra.
La vita scorre sul fiume, nel luogo fra i più sacri dell'India; è tutto un susseguirsi di bancarelle e mercati improvvisati, l'incenso brucia, ma è più forte, più acre, più indiano di quello che ho a casa.
Tutto è in vendita, ma non come in quel bordello a cielo aperto di Kao Sarn Road a Bangkok, niente troie, niente scorpioni o ragni fritti, qui c'è più dignità, più sacralità.
Ecco che arrivano i boat people, devono procacciare turisti per fare un giro in barca sul Gange, lo sanno che tutta la gente che viene qui "deve" fare un giro, è un business incredibile, la richiesta: "Hello!Boat?" risuona come una nenia in tutti gli accenti dell'India, più indietro, sulla riva, ci sono i rematori, gli uomini di fatica, coloro che non parlano inglese, i derelitti; per loro ci saranno solo pochi spiccioli, il grosso è per il proprietario della barca e per l'imbonitore.
Poi è il momento dei bambini, arrivano a ondate, come il fiume apparentemente tranquillo, ma pronto a travolgerti:
- "Compra una cartolina!!!!Compra un fiore!Un incenso, un'offerta per Shiva!!Dammi i soldi per mangiare!Compra una pashmina, un bracciale , una collana, un buon albergo, vieni al ristorante???Un offerta per il tempio, una per i lebbrosi, una per il tuo Karma che senz'altro migliorerà!!!Un negozio di sete, seta vera!Solo guardare e se piace poi comprare!!Forse vuoi fumare?Hashish, Marjuana, Eroina, Cocaina, Lsd??Funghi??"
Sono stordito, all'inizio dico solo "No grazie", poi "No!" poi non parlo più e vado avanti come in trance verso i Ghat, le scalinate che digradano dagli edifici fino al Gange.
Qui si fanno le attività più disparate, con la tipica indolenza indiana.
Qualcuno cucina pakora strafritti, uomini e donne lavano nel Gange indumenti, lenzuoli, Sari multicolori, li immergono, senza sapone, nell'acqua verdastra e scura, poi li sbattono con forza contro i gradoni di cemento e pietra, producono dei tonfi sordi, un ritmo quasi ipnotico, ancestrale.
Altri stendono i panni appena lavati sul cemento polveroso e sporco di merda; qualcuno canta dei mantra, altri fanno Yoga.
Qualche indiano semplicemente fa il bagno, nuota, beve l'acqua del fiume, si lava i denti energicamente; a un metro da lui dei grossi bufali neri si immergono cercando riparo dalla calura, altri bufali pisciano sulle gradinate.
La morte scorre sul fiume; sento un odore di bruciato, di carne bruciata, questo è il ghat delle cremazioni; in fondo la gente viene qui soprattutto per questo, per morire.
Gli indù credono che morire qui possa far raggiungere la liberazione dell'anima dal ciclo di morti e reincarnazioni; le pire funebri ardono tutto il giorno e tutta la notte; i morti arrivano continuamente e i dom li bagnano nel Gange prima di bruciarli; ecco che ne vedo arrivare uno, sento i canti, canti non pianti, non disperazione, piuttosto accettazione, la morte come parte integrante della vita, non può esistere l'una senza l'altra.
Il corpo è adagiato su una barella di bambù e coperto da un telo dorato, solo gli uomini possono assistere; guardano tranquilli quello che succede, preparano insieme il corpo, aspettano la sua liberazione; quando tutto è pronto, al corpo viene versata in bocca dell'acqua del Gange, e il primogenito accende il fuoco con una torcia, molto velocemente le fiamme si propagano e avvolgono tutto, le catasta di legna brucia e del morto si intuisce solo il profilo che va consumandosi inesorabilmente.
L'odore è forte, pungente, il fumo accecante, ma la gente sembra non curarsi di questo; il dom, intoccabile, è un vero artista del fuoco, sa come ravvivarlo, come gestirlo, lo farà ogni giorno della sua vita, per sempre.
Quando finalmente del cadavere non rimane altro che un mucchio di cenere e frammenti ossei, il dom, con i piedi nudi che affondano nella melma, li butta nel Gange, finalmente l'anima è libera!
La legna è a pagamento, i più benestanti possono comprare molta legna per il loro caro e vederlo bruciare bene, tutto e in fretta; i più poveri devono accontentarsi di vedere il proprio caro bruciare male e a lungo, e non completamente; a volte i ricchi sono solidali e allungano qualche rupia al dom per aggiungere un pò di legna alla povera pira, altre volte ciò che rimane del morto viene gettato nel Gange ancora mezzo bruciato.
Più di seicento persone al giorno vengono cremate a Varanasi.
Ogni sera, ci si raduna sul ghat principale per la cerimonia della Ganga Aarti, i bramini agitano delle fiamme, degli incensi, compiono rituali antichissimi, tutti sono presenti, dal mendicante, al turista che come me non capisce cosa stia succedendo fino al parlamentare con la scorta armata. Il fumo è totale, le luci multicolori, il suono delle campanelle ossessivo e ipnotico, in un crescendo di intensità, in un tripudio che nessuna messa riuscirà mai a eguagliare si arriva al culmine della cerimonia, in cui fra il fumo vedo i bramini compiere eleganti movimenti con in mano immense lampade fiammeggianti; è i loro modo per onorare e salutare il Gange. Poi i fedeli adagiano sull'acqua delle piccole foglie secche con dentro candele e fiori, vedo i lumini allontanarsi e perdersi nell'oscurità
Facciamo finalmente un giro in barca sul Gange prima dell'alba, il fiume è denso e scuro, è immenso, fa un pò paura, la corrente è forte.
Si trovano residui di ogni tipo, collane di fiori, noci di cocco, escrementi, bottiglie e altre cose che non riesco a identificare.
Ecco che i fedeli iniziano le loro abluzioni, si immergono fino alla vita e poi si tuffano completamente, altri indiani del sud arrivati qui in pellegrinaggio, tutti vestiti di giallo, intonano ossessivamente all'unisono Om Nama Shivaya! il più potente dei mantra. Donne, uomini, animali, si immergono e pregano per il sole che sta per arrivare, per un nuovo giorno che sta per cominciare.
Alcuni uomini in tunica color zafferano ridono, fragorosamente; è il loro modo per pregare, iniziare la giornata, per ringraziare di esserci ancora, vivi, più che mai; ridono e urlano ripetutamente:
- "Sei felice?"
Li ascolto e capisco che anche per questo prima o poi tornerò a Varanasi.
Le urla e le risate continuano e riecheggiano:
-"AH AHA HAHAHHAH AH!!!!!!Sei felice!??
Sei felice?!?!?Sei felice???!?
Sono felice?
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