mercoledì 17 novembre 2010

Cari amici,
Se verrà posto questo limite al 5 per mille si fermeranno molti progetti, e molte persone ci rimetteranno la vita.
Qui non è piu' una questione di destra o di sinistra, ma questo provvedimento, se dovesse passare sarebbe davvero uno scandalo!!!
Uno schiaffo in faccia ai poveri, e una forte limitazione alla nostra libertà.
Questo è ciò che facciamo con il 5 per mille:
Per favore leggete.
Saluti.


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di Luca Galassi - 16 novembre 2010Il fondatore di Emergency: ''La questione del tetto al 5 per mille è molto grave perchè è un segno della mentalità autoritaria di questi politici e della loro incoerenza''   


Uno dei punti della legge finanziaria che andrà presto in Parlamento pone un tetto di 100 milioni per il "5 per mille", la quota delle tasse che i cittadini possono devolvere per la ricerca o per gli aiuti umanitari. Emergency ha inviato in Parlamento una proposta di legge per svincolare il 5 per mille dalle contingenze legate alla Finanziaria, come si chiamava una volta quella che oggi viene chiamata legge di stabilità. Secondo la Ong il percorso della sottoscrizione deve essere del tutto simile a quello previsto per l'8 per mille.

Gino Strada, se l'aspettava questa proposta di taglio del tetto per il 5 per mille o la meraviglia?
Ci si meraviglia di una cosa nuova. Il nostro parlamento brulica di corrotti, condannati con sentenza definitiva, ladri, truffatori, sporcaccioni, voltagabbana, evasori fiscali, mercanti di voti, tutti nemici spietati di ogni idea democratica, volgarmente e crudelmente insensibili ai bisogni e ai problemi dei più poveri. E' allora "normale" che stanzino fondi per le armi o per le scuole private sottraendoli a quelli per la ricerca e per gli aiuti. Ma non è questo il solo aspetto grave della vicenda".
E quale sarebbe?
Intendo dire che non mi aspetto certo una sensibilità sociale e una mentalità aperta e intelligente dai signori della politica. Che tipo di persone sono e come vivono è sotto gli occhi di tutti: ci aspettiamo che quella gentaglia sia interessata alle decine di milioni di bambini che muoiono ogni hanno per la fame e per la povertà? O che siano interessati al milione e settecentomila bambini poveri che ci sono in Italia, un terzo dei quali in condizioni di povertà estrema? Riescono i loro cervelli limitati a capire che tagliare i fondi per gli aiuti umanitari significa in molti casi negare possibilità di sopravvivenza? E che tagliare i fondi alla ricerca significa tra l'altro castrare l' Italia? Credo proprio di no, non ci possono arrivare. E non serve neppure perdere tempo a spiegarglielo, sarebbe come predicare la verginità in un bordello.
Ma la questione del tetto al 5 per mille è molto grave perchè è un segno della mentalità autoritaria di questi politici e della loro incoerenza (per inciso, il 5 per mille fu instituito qualche anno fa proprio da Tremonti). La loro idea di democrazia e di rispetto della libertà dei cittadini è molto semplice: i cittadini sono liberi di scegliere se destinare allo Stato il 100 per cento delle loro tasse o solo il 99 e qualche e dare il loro 5 per mille a cause umanitarie e un altro 8 per mille a varie Chiese. Bene.
Però, se i cittadini esercitano davvero questa libertà riconosciuta, allora non va bene. Si mette un tetto: 100 milioni al 5 per mille. (l'8 pe rmille per le Chiese è ovviamente sacro e quindi intoccabile). Il resto, oltre i 100 milioni (più o meno mezzo miliardo di euro) se lo incamera comunque lo Stato.
Secondo i signori della politica, i cittadini sono liberi di scegliere solo se a scegliere in un certo modo sono in pochi. Una libertà condizionata, insomma, un vero e proprio insulto alla libertà di scelta dei cittadini, all'esercizio dei diritti.
Tradotto in termini più politici, é come dire che i cittadini possono votare contro chi ha il potere a condizione che a votare contro sia una minoranza. Loro la pensano proprio così.
E allora?
E allora spero che si rimangino questa decisione-truffa, sarebbe un bel gesto prima di andarsene tutti a casa.Tratto da: it.peacereporter.net

venerdì 29 ottobre 2010

Pensieri...

Ciao a tutti

Leggendo la triste notizia relativa alla prematura scomparsa di Nestor Kirchner, ex presidente dell'Argentina, mi è tornato in mente il mio recente viaggio in quell'immenso, tormentato e magnifico paese.
Kirchner ha preso in mano un paese al collasso, portandolo a tassi di crescita economica incredibili, aumentando l'alfabetizzazione e promuovendo i diritti umani, dando appoggio al movimento delle Madri di Plaza de Mayo.
Qualche mese fa ero proprio in Plaza de Mayo ad ammirare la casa Rosada, il palazzo presidenziale, dal cui noto balcone era solita affacciarsi Evita Peròn, quando mi trovai praticamente in mezzo ad una manifestazione popolare presieduta dalle Madri (ormai nonne) di Plaza de Mayo, ricordavano la dittatura, i figli, fratelli, padri, mariti desaparecidos nel nulla, torturati e gettati da vivi nell'oceano direttamente dall'aereo.
La ferita è  ancora aperta, sanguinerà fino a quando non verrà fatta giustizia.
Il Kirchner ha provato a chiudere questa ferita, riaprendo i processi contro i militari di Videla, responsabili delle torture.
Poteva ripresentarsi alle elezioni ma ha lasciato che la moglie si candidasse, che l'Argentina proseguisse sulla strada della crescita economico-culturale, insieme agli altri stati del sudamerica, distaccandosi dalla pesante e nefasta influenza degli USA, lasciando che l'amata Cristina vincesse le elezioni.
Un infarto ha stroncato questo grande uomo, a El Calafate, la stupenda città della Patagonia dove la coppia aveva casa.
Quando arrivai a El Calafate vidi proprio l'aereo presidenziale, la coppia presidenziale era lì, il Presidente amava la Patagonia, questa incredibile terra di immensi ghiacciai, di vento sferzante, di uomini indomiti e duri, di balene, di ottimi vini, di pinguini, di silenzio e solitudine.
Guardo le foto della camera ardente, con i capi di stato, con tanta gente comune a Plaza de Mayo, e penso che forse lo spirito di riconciliazione che il Presidente ha cercato di trasmettere, porterà un giorno la pace, l'uguaglianza, la memoria tra la gente in Argentina.
Ciao Presidente.

giovedì 21 ottobre 2010

Sciacalli in diretta TV

Ciao a tutti.
Non ne posso più di sentir parlare del delitto di Avetrana.
Non ce la faccio più, non guardo nemmeno più il tg.
Questa strumentalizzazione di un fatto tragico mi disgusta, tutto per fare ascolti, per aumentare introiti pubblicitari.
A volte penso che più le storie si riempiono di dettagli tragici e macabri più certe persone godano, pensando a quante belle trasmissioni e soldi si potranno fare; ben venga lo stupro del cadavere, il bimbo morto ammazzato, intrighi squallidi di famiglia, resti umani rinvenuti chissà dove, per fini commerciali! Sono certo che gli sciacalli della tv pagherebbero qualcosa per trovare un bel necrofilo come ne "il gioco di Gerald" di King e intervistarlo,magari in esclusiva la Domenica pomeriggio in uno di quegli orrendi programmi. Sono disgustato; dal canto mio posso solo non collaborare a questo scempio e non guardare la tv, dove dalla mattina presto fino a notte inoltrata imperversano programmi sulla morte della povera Sarah Scazzi.
Questi episodi mi richiamano alla mente le tante volte in cui mentre lavoro (lavoro in un servizio di emergenza) la gente ci filma con i telefonini, mentre lavoriamo su un grosso incidente ecc...c'è tanto voyeurismo, voglia di macabro, voglia di vedere tradotte in pratica le orrende trasmissioni quotidiane, o gli stupidi telefilm su morti, omicidi, autopsie, cadaveri riesumati ecc..non si capisce più il limite fra finzione e realtà.

martedì 21 settembre 2010





Ci sono posti nel mondo in cui senti che proprio lì è passata la storia e che l'uomo è un essere in grado di compiere qualunque impresa.
Quando, un paio di anni orsono, sostavo in raccoglimento di fronte al Raj Ghat, il monumento che ricorda la cremazione del Mahatma Gandhi, ho "sentito" la storia.
La fiammella eterna ci ricorda che la forza della verità e della non violenza sono valori immortali ed universali; incredibilmente tutt'intorno c'è un India pulita e silenziosa, di prati ben curati e scoiattoli che scorrazzano liberi, un India che ricorda un uomo di pace, il più straordinario personaggio del secolo appena passato;l'uomo che ha rinunciato alla comoda carriera di avvocato cresciuto all'ombra della corona; l'uomo che ha marciato per l'immenso subcontinente vestito di stracci e che con la forza della non violenza ha fatto crollare uno dei più grandi imperi mai visti sulla terra.
Appena uscito dal Raji Ghat l'India ti assale nuovamente con i suoi odori, colori, rumori, con la forza delle sue contraddizioni; ma nell'anima c'è solo una grande pace, poi vedo un cartello, alla domanda "Mahatma, qual'è il messaggio che ci lasci?"
Gandhi rispose : "La mia vita è il mio messaggio".


martedì 14 settembre 2010

Il mondo che vogliamo.


Il mondo che vogliamo

Crediamo nella eguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dalla appartenenza etnica, politica, religiosa, dalla loro condizione sociale ed economica.
Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per
risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Vogliamo un mondo basato sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo, su un'equa distribuzione delle risorse.
Vogliamo un mondo in cui i governi garantiscano l'eguaglianza di base di tutti i membri della società, il diritto a cure mediche di elevata qualità e gratuite, il diritto a una istruzione pubblica che sviluppi la persona umana e ne arricchisca le conoscenze, il diritto a una libera informazione.
Nel nostro Paese assistiamo invece, da molti anni, alla progressiva e sistematica demolizione di ogni principio di convivenza civile. Una gravissima deriva di barbarie è davanti ai nostri occhi.
In nome delle "alleanze internazionali", la classe politica italiana ha scelto la guerra e l'aggressione di altri Paesi.
In nome della "libertà", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro i propri cittadini costruendo un sistema di privilegi, basato sull'esclusione e sulla discriminazione, un sistema di arrogante prevaricazione, di ordinaria corruzione.
In nome della "sicurezza", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro chi è venuto in Italia per sopravvivere, incitando all'odio e al razzismo.
È questa una democrazia? Solo perché include tecniche elettorali di rappresentatività? Basta che in un Paese si voti perché lo si possa definire "democratico"?
Noi consideriamo democratico un sistema politico che lavori per il bene comune privilegiando nel proprio agire i bisogni dei meno abbienti e dei gruppi sociali più deboli, per migliorarne le condizioni di vita, perché si possa essere una società di cittadini.
È questo il mondo che vogliamo. Per noi, per tutti noi. Un mondo di eguaglianza.
EMERGENCY

lunedì 23 agosto 2010

Samlot, andata e ritorno dall'inferno

Cambogia

Battambang,  Aprile 2005

È mattina presto quando io e Ivan varchiamo il cancello dell'ospedale di Emergency, a Battambang.
Le guardie (rigorosamente disarmate), ci attendono al varco, ormai ci conoscono, ma ci devono perquisire ugualmente, è la regola.
Entriamo, di nuovo il bel giardino tropicale dell'ospedale, mi infonde un senso di tranquillità.

Noun, linfermiere responsabile del F.A.P. di Samlot non è ancora arrivato, così io e Ivan ci mettiamo seduti sul muretto a chiacchierare.
Mezz'ora dopo arriva un simpatico Khmer, che ci viene incontro con un sorriso amichevole, è Noun!
Partiamo.
Arriva il pick-up di Emergency, saltiamo sul cassone del pick-up, Noun e l'autista sono nella cabina di guida.
Nella piazza di Battambang facciamo la prima (ma non ultima) fermata; Noun scende e al suo ritorno salta sul cassone del pick-up con noi, se davanti non cè posto per tutti, allora si sta tutti dietro, incredibile!
Lentamente ci allontaniamo da Battambang, i Tuk-Tuk (moto, con rimorchio) portano di tutto e di più, turisti, bombole del gas, grasse scrofe vive. Le case, le latrine a cielo aperto svaniscono, ci troviamo circondati solo da una vegetazione a dir poco lussureggiante.
Il pickup inizia ad andare a velocità folle, non esiste più lasfalto e i salti del fuoristrada alzano cumuli di polvere, che fanno svanire nel nulla i motorini e le macchine, che sistematicamente superiamo.
Noun sembra divertito, ci indica i villaggi più o meno importanti dei che attraversiamo, perlopiù capanne di fango e paglia, palafitte di legno per i più abbienti.
Ogni tanto compaiono grandi cartelli ai bordi delle strade, sono disegni immensi, che raffigurano contadini, o bambini vittime di mine antiuomo; sono le istruzioni per luso per tentare una vita quasi normale, cosa fare, cosa non fare.
Noun non ci fa caso.
Facciamo una  sosta.
Siamo tutti coperti di polvere, entriamo in una specie di bar, fuori la luce è accecante, linterno del locale è semi-buio; il classico odore di cibo fritto ci assale, ci sediamo; l'autista ordina una cosa incomprensibile, noi non rischiamo e prendiamo un thè.
Mentre aspetto faccio un giro per il locale, i pochi clienti sono irresistibilmente attratti dal Karaoke, che tutte le tv Cambogiane trasmettono giorno e notte, che sembra essere l'unico svago in questo paese.
Il cameriere pulisce il tavolo dai resti di cibo dei precedenti clienti con un abile colpo di mano, getta tutto a terra; guardando il pavimento mi rendo conto che è pieno di resti alimentari, di cui si nutre un cane che gironzola li attorno, Noun mi spiega che lo puliranno a sera.
Ripartiamo, aumentando velocità il paesaggio cambia ancora, attraversiamo una zona simile alla savana africana, se non fosse per le palme, poi ci addentriamo nella giungla vera e propria.
Attraversiamo un ponte di tronchi che sovrasta un grande fiume, siamo finalmente arrivati nel distretto di Samlot.
Ci fermiamo in un piccolo centro, dove lasciamo il pick-up e prendiamo l'ambulanza, cioè un fuoristrada con dentro una barella e una bombola d'ossigeno.

Abbiamo qualche minuto libero, il sentiero che porta al centro è molto stretto, credo non più di un metro, voglio curiosare un po in giro, ma subito Noun mi ferma , senza proferire parola, mi indica un cartello rosso, con una incomprensibile scritta khmer e  un teschio bianco disegnato; non mi serve continuare a leggere la scritta in inglese sotto il teschio per comprendere che mi trovo su una piccola parte bonificata di un terreno minato!
La prima reazione è di incredulità, poi al di là del cartello, fra la vegetazione, vedo delle capanne, degli uomini lavorare, dei bimbi giocare: vivono su un campo minato.
Provo una sensazione di rabbia mista a sdegno, mi sembra impossibile che lì si possa condurre un esistenza normale, su un campo minato.
Mentre partiamo con l'ambulanza parlo con Noun di tutto questo, mi dice che semplicemente non c'è alternativa, perché la povera gente in quella zona possiede tutto ciò che le permette di andare avanti: una capanna, un piccolo orto, i figli, ma anche le mine.


Iniziamo il giro dei FAP (First Aid Post) gestiti da Emergency sparsi nella giungla.
Intravediamo il primo, poi uno scossone mi fa capire che abbiamo forato una gomma, entriamo nel cortile del FAP su tre ruote, ma mentre il nostro driver cambia la ruota noi ci avviciniamo ad una costruzione di cemento fatiscente, con delle grate di ferro alle finestre al posto dei vetri .Questo è un FAP  "governativo" di cui però si fa carico Emergency.
Mi addentro.
Ci sono dieci letti di legno in fila, la metà è occupata da pazienti, perlopiù giovani.
Cè un forte odore di disinfettante.
In quel momento si sentono delle grida in cortile, esco, vedo un motorino arrivare, con a bordo tre persone; i due seduti all'estremità stanno sorreggendo l'uomo al centro, che sembra essere privo di sensi e che stia strisciando il piede destro scalzo a terra, tanto da essersi consumato tre dita in un impasto scuro di sangue e terra.
Degli uomini in cortile lo portano su uno dei letti del FAP, è un uomo sulla trentina, privo di coscienza, molto sudato:
non respira.
Noun incomincia a praticare il massaggio cardiaco, mi chiede se intanto posso mettere una flebo a quell'uomo, lo faccio subito.
Noun non ce la fa più a continuare il massaggio cardiaco, così gli dò il cambio. 
Sono attimi frenetici, io continuo a massaggiare.
Dopo un po' decidiamo di smettere, quell'uomo è morto.
Gli uomini che l'hanno portato qui ci dicono che si è suicidato, con delle compresse di chinino e alcool.
Saliamo in macchina, sono completamente sudato, Noun si gira, con calma lapidaria mi dice che l'errore è stato suo, non nostro.
Incasso la prima  (ma non ultima) lezione della giornata del nostro amico cambogiano, andiamo avanti. 
Passiamo attraverso fitte boscaglie, discese molto ripide seguite da salite al limite; poi arriviamo alla Guest House di Emegency, punto di riferimento per gli abitanti dei villaggi vicini e lontani.
La nostra stanza è fatta da muri di legno, grate alle finestre, due brande, siamo felici allidea di passare la notte lì!
Mangiamo, poi iniziamo il giro dei vari FAP.
Va detto che tutti questi FAP non sono stati creati da Emergency, su alcuni riesco a leggere a malapena la sigla scolorita dellUNHCR (ONU), ma sono diciamo gestiti e mantenuti da Emergency, con forniture di farmaci e di personale addestrato; in caso contrario sarebbero destinati a chiudere perché nessun altro se ne prenderebbe cura.
Questo sarebbe una vera disgrazia per gli abitanti dei villaggi (non pochi) che, oltre alle mine antiuomo, hanno a che fare con la malaria, AIDS,  cobra, nonché con sbandati e criminali, eredità lasciata dagli ultimi Khmer rossi.
Visitiamo un centro dopo laltro, guadiamo fiumi con la jeep, perché i ponti principali sono stati abbattuti durante il periodo dei Khmer Rossi, della guerra col Vietnam, dai bombardamenti americani degli anni '70.





Noun ci spiega che effettuare questo giro durante la stagione delle piogge è particolarmente difficile e rischioso, perché le strade si trasformano in fiumi di fango; talvolta i feriti da mina vengono portati in barca lungo i fiumi, poi bisogna raggiungere un posto dotato di radio per comunicare all'ospedale di Emergency (distante 4 ore) la necessità di un'ambulanza.
Si deve guidare velocemente fra torrenti in piena, strade di fango, laghetti, poi caricare il ferito e tentare di stabilizzarlo, solo allora si può riprendere la strada per l'ospedale di Emergency.
Appare chiaro che se una persona è gravemente ferita, nella maggior parte dei casi muore dissanguata.
Mentre andiamo verso l'ultimo FAP, parliamo con Noun del passato regime dei Khmer Rossi, è incredibile sentire delle testimonianze simili da chi l'ha vissuto.
Lui stesso ha avuto dei lutti in famiglia, perché si trattava di una famiglia benestante ed istruita, due fattori che Pol Pot e i Khmer non tolleravano; le persone che vivevano nelle città vennero deportate nelle campagne per costituire "cooperative" agricole.
Nel cortile dell'ultimo FAP ci sono dei ragazzi che giocano con un pallone ed una vecchia rete da pallavolo; noi ci buttiamo nella mischia,giochiamo con loro, mi sembra di essere con i miei amici, in Italia, solo che noi giochiamo in quel fazzoletto di terra sminato, loro invece vivono li intorno, in territorio minato.
Ci allontaniamo, arriva l'ennesimo imprevisto, non possiamo dormire nel FAP perché il padre di Noun è gravemente malato; così si torna indietro verso sera, a Battambang.
Inizia a piovere, le strade diventano piccoli torrenti, il paesaggio è fenomenale, sulle montagne in lontananza si addensano immense nuvole scure, laggiù al confine con la Thailandia si trova una delle zone più minate al mondo, ma anche le note miniere di pietre preziose.
La Jeep corre veloce su queste strade di fango, dal finestrino vediamo dei Khmer in bicicletta o in motorino, che cercano di mantenere un equilibrio precario, stracarichi come sono sarà difficile!
Mi allontano, ripenso con tristezza ai volti della gente che ho conosciuto oggi, alla loro vita nei campi minati, ai drammi che si consumano quotidianamente in queste zone, all'orrore delle mine antiuomo, progettate per distruggere la speranza, per rendere invalide le future generazioni.
Penso poi al disinteresse totale, all'indifferenza del mondo "civile" nei confronti di questo gravissimo problema, di questa vergogna dei nostri giorni, e di quelli futuri.

Matteo

Gli angeli neri del Mariele



Quella che vi racconto è una storia triste, ma anche di speranza. Nella missione africana di Mutoko, Zimbabwe, c'è un posto molto speciale. Si tratta del "Mariele", una casetta bianca con il soffitto di lamiera: è un piccolo orfanotrofio. Quando entrai per la prima volta al Mariele, nel Gennaio 2004, non sapevo nemmeno cosa fosse; i miei passi risuonavano nel corridoio, che dà subito sulla "stanza dei giochi", dove però non c'erano giochi!C'erano in compenso una quindicina di bambini, che mi hanno guardato con stupore, prima di corrermi incontro con gioia e di sommergermi nella loro vitalità!Da quel giorno abbiamo passato momenti molto belli e divertenti, ma che mettono anche una grande angoscia per la situazione con poche speranze in cui sono quei piccoli già grandi. Dopo un mese me ne andai, giurando a me stesso che non avrei più dimenticato il "Mariele", e così è stato. Nel Novembre scorso ci sono tornato, tutto era rimasto uguale, lo stesso odore acre, lo stesso disordine, la stessa disarmante accoglienza festosa...Mi ha molto colpito il fatto di non ritrovare che quattro dei tanti bambini che avevo lasciato l'altra volta; e di certo non sono stati addottati. Al "Mariele" succedono cose strane e incredibili, come per Ashley e Ashton, due gemellini i cui genitori sono morti di AIDS. Loro sono risultati negativi al test, si sono "negativizzati". Ashton è un bambino molto generoso, e quasi "discreto"  quando ti si avvicina, sua sorella Ashley è una ballerina nata!Avreste dovuto vederla, mentre improvvisava passi(mai imparati) di danza moderna, su una musica che non c'era, che non ha mai sentito, se non dentro di se.

ASHTON




ASHLEY




Il vero leader è Chamyso!Lui c'era anche nel 2004 e non è cambiato; ha la stoffa del capo e spesso risolve le inevitabili controversie che ogni tanto nascono. Chamyso vuole essere sempre il protagonista dei giochi, il primo a ricevere le caramelle, il primo a buttarsi in giochi sfrenati  e ad inventarsene di nuovi!Non vuole saperne di imparare a leggere.
CHAMYSO




 Un bambino che non ho mai dimenticato da quel Gennaio 2004 è Innocent: mai nome fu più appropriato. Non sapevo niente di lui, l'ho conosciuto che aveva circa tre anni, era sempre silenzioso, quando mi vedeva mi correva  incontro, io lo alzavo in aria per giocare, lui mi abbracciava; poi andavamo sull'altalena arrugginita del "Mariele", me lo mettevo sulle ginocchia e dopo esserci dondolati, ce ne stavamo lì seduti, immobili, in silenzio per dei pomeriggi interi. Quando gli ho detto che sarei partito, l'ho abbracciato forte, lui mi ha dato delle piccole pacche sulla schiena, mi stava consolando...Ho pianto. Non c'era più bisogno di parlare, anche perchè era impossibile capirsi a parole. Da quel giorno l'ho pensato spessissimo, mi è venuto a trovare nei sogni, a volte eravamo felici insieme al "Mariele", a volte era qui con me a casa mia, a volte era il protagonista di incubi orrendi, di morte e disperazione. Quando l'ho rivisto ho provato un tuffo al cuore, quanto era cresciuto! Gli ho chiesto se si ricordava di me, ha ingrandito i suoi stupendi occhi neri e mi ha fatto cenno di si col capo, ci siamo abbracciati come se non ci fossimo mai lasciati.

Innocent all'età di tre anni




Innocent adesso



Il tempo, al "Mariele" non esiste, è un concetto senza senso, puoi arrivare in qualunque momento, e i bambini saranno sempre sospresi di vederti, poi non sanno quanti anni abbiano; Al "Mariele" non hai più un nome, hai il nome che i bambini scelgono per te; e tutti i ragazzi bianchi che vanno lì si chiamano "Ciao!"; è inutile opporsi. Al "Mariele" vivono creature fragili e indifese, come Paul, quattro anni; appena nato si è ammalato, una encefalite lo ha ridotto ad uno stato pietoso; non riesce a camminare, non parla, non ride, non piange, mai. Paul sta seduto sul pavimento appoggiato sulle lunghe braccia. Noi proviamo a coinvolgerlo con le bolle di sapone, ma mentre gli altri bambini  si scatenano in furibonde corse a chi scoppia per primo la bolla, lui non si muove e se le fa scoppiare in faccia; ci sono attimi in cui ti guarda in un modo così intenso da dover distogliere lo sguardo, allora ti sembra che capisca tutto, che sia cosciente della sua disperata situazione, in quei momenti lo accarezzi e gli metti in bocca una caramella. Una mattina Erika è andata al "Mariele" prima del previsto, per aiutare la mami a lavare i bambini (l'unica volta in tutto il giorno) e la mami piangeva, lei chiede dove sia Paul, i bambini (tutti dagli 1 ai 7 anni) si mettono le manine sugli occhi e li tengono chiusi, non c'è bisogno di parlare, al "Mariele". Paul adesso riposa in un cimitero sconsacrato (il perchè non l'ho mai capito) che è una zona di bosco piena di sassi, ogni sasso è una tomba; tutte pietre senza una lapide, una scritta, una foto. Non c'erano neanche i soldi per una piccola cassa da morto, così Paul è stato deposto in una scatola di cartone... 

PAUL... 





Il posto dove Paul riposa...







Un bambino che ho conosciuto al "Mariele" l'anno scorso e che mi è rimasto nel cuore è Kane, avrà forse tre anni ed è il bambino più dolce che abbia mai conosciuto. Kane è stato abbandonato, ma prima, la madre lo faceva cadere (da una scala o da una discesa) e così gli ha rotto il femore...All'ospedale della missione è stato curato e adesso corre, anche se si vede che l'articolazione non compie movimenti molto naturali. Kane ride in una maniera stupenda, ti si apre il cuore e ti dimentichi della massa di disgraziati che ci sono dentro e fuori dall'ospedale; lui è certamente il futuro leader del "Mariele", quando decide una cosa, quella si fa, che sia un gioco, o semplicemente essere preso in braccio; tu inutilmente gli spieghi che è tutto sporco di merda, ma lui ha deciso, quindi non ci pensi più e lo stringi a te. 

KANE




Al "Mariele" non ci sono invidie, i bambini sono solidali e dividono tutto, anche l'amore che i pochi volontari che vi si addentrano possono dare loro. Al "Mariele" non ci sono sprechi, i vestiti sono di tutti, anche se sono da bambina e li indossa un bambino; quando dai loro una caramella ringraziano sempre battendo le mani due volte, stessa cosa quando ricevono la quotidiana "Sazza", una polenta bianca con verdure o fagioli, l'unico loro alimento.

PRONTI PER LA CENA...




 L'ultimo giorno che sono stato al "Mariele" c'era un'atmosfera strana, come di attesa. Noi salutiamo e abbracciamo i bambini, Ken è nervoso e condivide il lettino con la Viki, una bambina stupenda che ci ha conquistato.

VIKI





 Alcuni piangono, i più grandi mimano il decollo di un aereo con la mano e indicano noi due, Innocent indica anche se stesso...No Innocent, non puoi venire con noi. Stiamo male, ma abbiamo per loro l'ultima sorpresa, dei lecca-lecca, da come ci ringraziano deve essere merce davvero rara, mi dispiace un pò per Chamyso, che in quel momento non c'è, ci rimarrà male. Escono fino al cortile a salutarci, oltre la rete di recinzione del "Mariele" ci sono molte mami che cucinano per terra con i pentolini anneriti dal fumo. Hanno qualche parente ricoverato in ospedale, hanno facce stanche, rassegnate.






 Mi giro un'ultima volta per imprimere nella memoria quell'immagine, poi mentre mi allontano in fuoristrada, ripenso al "Mariele" un luogo fuori dal comune dove si vivono attimi di pura gioia, dove il tempo non conta, dove le parole non hanno alcun significato, e provo già un'immensa nostalgia. Arrivederci Ken, ciao Chamyso, Ciao Ashley&Ashton, a presto Innocent, ciao dolce Viki, ciao angeli neri, ci rivediamo presto nei miei sogni più belli, o negli incubi più crudeli.

domenica 22 agosto 2010

17.06.2009 «La guerra è pace»

Questo è uno degli slogan più forti di Orwell in 1984, magnifico libro che già 60 anni orsono descriveva i pericoli di una svolta autoritaria  e di un mondo controllato dal Grande Fratello.
Se Orwell fosse ancora vivo vedrebbe tramutarsi in realtà questo e altri slogan da lui profetizzati.
In Afghanistan si combatte una guerra in cui gli italiani svolgono un ruolo attivo, una guerra illegale, coloniale, basata su vendetta e interessi strategici ed economici.
Illegale e incostituzionale, in quanto l'articolo 11 della costituzione italiana ci ricorda che:
 L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Sono anni che sento parlare di Missioni di Pace, ma "la guerra è pace", e quella italiana è una missione di guerra. Siamo sotto il comando della NATO (non certo di una organizzazione umanitaria) e usiamo mezzi progettati per tutt'altri scopi.
Come l'elicottero da combattimento Mangusta, che gli italiani usano in Afghanistan non certo per portare la pace.
Queste operazioni e mezzi sono ben visibili in un recente video; (fonte El Mundo) è in spagnolo ma si capisce molto bene comunque.
http://tv.repubblica.it/copertina/la-guerra-degli-italiani/34010?video

Ultimamente sento/leggo spesso che i militari italiani hanno "neutralizzato" postazioni nemiche, che hanno "neutralizzato" gli "insorti" i "ribelli"; ripenso spesso agli insorti e ai ribelli che ho conosciuto in Afghanistan, gente fiera, con una dignità, che non esiterebbe ad usare le armi per difendere la propria terra e il proprio popolo.
Sono loro gli insorti e i ribelli? è questo "neutralizzare" oppure "effetti collaterali" un ennesimo orrendo eufemismo? Un altro pericoloso e infame esempio di neolingua Orwelliana?

venerdì 20 agosto 2010

Cari Amici,
dopo la cancellazione del mio blog da Excite, ho deciso di trasferirmi qui, troverete presto nuovi contenuti, archivi di immagini ed alcuni dei miei vecchi post.
Un saluto a tutti!   
Matteo

Cartoline dall'Afghanistan: La valle del Panshir