mercoledì 18 agosto 2010

La piana dello Shomali

Lascio Kabul di buon mattino. Oltrepasso ancora la periferia e gia’ mi sembra di essermi abituato alla polvere, ai mercati , ai cattivi odori, ai mendicanti. Fuori da Kabul inizia una grande depressione chiamata piana dello Shomali. Si tratta di un territorio molto esteso , una volta dedicato all’agricoltura e circondato da villaggi. Adesso e’ tutto distrutto, le piante bruciate, le case di fango fatte a pezzi, qua e la’ qualche container dei tempi dell’armata rossa. Qui si e’ combattuto molto duramente, , prima contro I russi, poi contro I talebani e infine I bombardamenti americani. Ho letto che lo stesso comandante Massud, passando di qui, non abbia trattenuto le lacrime nel constatare questa distruzione e il massacro dei contadini tagiki. I relitti dei carri armati russi stanno li in mezzo ai campi, alcuni distrutti, altri come se aspettassero un immaginario soldato che li rimetta in moto. Passo vicino a Bagram, dove I russi costruirono l’omonimo aeroporto-base, ora  (segno dei tempi) e’ una base Americana, impossibile avvicinarsi. Il territorio e’ assolutamente minato. Ho letto su un giornale locale in lingua inglese che gli americani  stanno cercando di espandersi e c’e’ l’intenzione di costruire una nuova prigione vicino alla base, solo che quella zona, nonostante la distruzione e le mine, e’ abitata, e la gente li ha le proprie case, I propri animali e alberi, la propria vita, vivono li da ottocento anni; pare che se non acetteranno di andarsene verranno mandati via con la forza. Arrivo al paesello di Jabul Saraji, “la montagna di luce”, ma io vedo solo la brutta copia di un bazaar, caotico e sporco come sempre. Passo poi da Gulbahar, un piccolo villaggio fangoso, e poi vedo due immensi muri di roccia, con uno stretto passaggio al centro, quella e’ l’entrata della mitica valle del Panjshir, la terra dei mujhaeddin, la mia meta.




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