mercoledì 18 agosto 2010

Kabul mon amour...

E' il primo Marzo 2008, atterro in Afghanistan, lo sogno da tanto di quel tempo che non mi sembra vero, ma invece e’ vero; due ragazze bionde, in aereo con me, si coprono velocemente il capo col velo. Al controllo passaporti una guardia mi fa passare tutta la fila, io sono un po’ imbarazzato perche ancora non sono abituato all’ospitalita’ afghana nei confronti dello straniero. Per fortuna la macchina di Emergency mi aspetta fuori dall’aeroporto, ho avuto l’ordine di non muovermi e di aspettare un delegato, arriva, saluti e via in macchina. Lo scenario e’ impressionante, la polvere soffia di continuo si deposita sulle cose e le persone e le colora. Incrocio dei pickup della polizia, nel cassone hanno montata una mitragliatrice, siedono in quattro, hanno sguardi fieri e minacciosi, vedo una gigantografia di Massud, “national hero” mi dice l’autista, incontro un paio di posti di blocco di marines usa. Fuori dall’aeroporto mi rendo conto di persona che Kabul e’una citta’ devastata, piena di macerie e distruzione, frutto avvelenato di trent’anni di guerra; tutte le donne portano il burqa, azzurro o bianco, vedo parecchi mutilati, molti bambini, che in mezzo alla strada chiedono l’elemosina, le macchine non li evitano, sembrano indifferenti e passano vicinissime a loro, uno incrocia il mio sguardo e si aggrappa alla macchina in corsa, non so cosa fare, l’autista accellera e lo costringe a mollare. I quartieri periferici brulicano di ogni attivita’ immaginabile, il bazar e’ un misto di patetiche bancarelle, rifiuti, odore di merda e polvere ovunque. Ci sono venditori di galli da combattimento, di pesci rossi, frutta e verdura, spezie colorate e aromatiche, intanto i burqa silenziosi osservano, contrattano, tengono per mano i bambini e se ne vanno con la merce sotto il vestito, camminano nel fango. Alcune guardano la bancarella dei reggiseni, li provano con lo sguardo. Tutt’intorno vedo figure rese sfocate ed effimere dal fumo di carne di pecora arrosto, qualche ragazzino gioca a calcio in mezzo ai rifiuti, uno ha la maglia del Liverpool. Intorno alla piazza, sulle montagne dalle cime innevate, stanno abbarbicati i quartieri dei piu poveri fra i poveri, quelli che non hanno nulla e si riparano dal freddo con teli di plastica e bruciano immondizia per scaldare le loro baracche, che la legna costa troppo. Attorno alla strada che mi conduce a casa ci sono le onnipresenti fogne a cielo aperto, caldo, polvere, puzza di piscio, spezie, carne, violenza, qualche cane rognoso cerca da mangiare tra i rifiuti.


Sono vivo.















































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